Il cuore del PCDA in 7 passi: la fase PLAN.

DiSamantha Chichi

Il cuore del PCDA in 7 passi: la fase PLAN.

La scorsa settimana abbiamo parlato del PDCA e di quale sia la sua forza rispetto alla modalità con cui, normalmente, affrontiamo i problemi quotidiani che ci causano perdite economiche. A tal scopo rimando all’articolo Il PDCA: in cosa è veramente “diverso”?

Oggi parliamo della 1^ fase del ciclo di Deming , quella del PLAN, il cuore dell’approccio di un problem solving efficace. A mio avviso è la fase più critica, quella che se non affrontata con la serietà e il rigore che merita, può mettere a repentaglio il successo dell’intero progetto.

L’obiettivo di oggi è vedere nel dettaglio di cosa si tratta, e quali strumenti possiamo utilizzare per massimizzarne l’efficacia. Quello che segue è, quindi,  un articolo molto tecnico, per i soli “addetti ai lavori”. Non iniziate a leggerlo, dunque, se non siete proprio interessati a provare ad applicarlo: rischiereste di addormentarvi a metà strada! ((-:

Buona lettura, dunque.

La fase P=PLAN 

Plan significa letteralmente pianificazione, ma in realtà questa fase è molto di più che la semplice pianificazione delle attività. A partire dalla qualificazione e quantificazione della perdita che vogliamo ridurre, la fase PLAN è quella che ci permette di comprendere bene il fenomeno che sta alla base del problema e ci guida nella ricerca delle cause radice.

Ma vediamola passo passo.

1) Scelta del  problema

Qual è la maggiore causa di perdita di produttività del reparto? Che tipo di difetto sta lamentando il cliente? Che cosa ci sta facendo perdere competitività su un certo tipo di prodotto? Qual è la fermata peggiore del mio impianto? Quanto vale questa perdita? Quanto ci sta facendo perdere?

Se credi che questa fase non sia utile  significa che stai lavorando con un approccio di pompieraggio, o anche detto di “fire fighting”, inseguendo il primo problema che ti capita, o almeno quello che ti sembra essere il peggiore.

Tuttavia è una fase che, invece, risulta fondamentale quando si vuole massimizzare l’ efficacia di quello che si fa, andando ad attaccare i maggiori problemi di un reparto, di uno stabilimento. Problemi che vanno, dunque, definiti sulla base di stratificazione delle perdite e di logiche di prioritizzazione; quelli che faranno la differenza sui risultati aziendali.

La scelta del problema, dunque, passa attraverso l’analisi delle perdite che può essere fatta in molti modi diversi, a seconda del livello di dettaglio della raccolta dati della tua realtà. Non serve per forza avere i costi di stabilimento raccolti al livello di postazione di lavoro. Ci sono moltissimi metodi , anche semplici, per capire le perdite peggiori partendo dal quotidiano di una realtà produttiva, dal gemba.

Se, invece, stai seguendo un percorso di WCM, la scelta del problema arriva dal lavoro svolto insieme al Cost Deployment, che attraverso un’attività di stratificazione delle perdite, ha definito quale sia quello più adatto da attaccare con la logica del PDCA.

2) Identificazione del KPI e attribuzione del target

Una volta identificata la perdita da attaccare, è di fondamentale importanza individuare KPI (Key Performance Indicator), l’indicatore operativo legato direttamente e in modo univoco alla perdita. Questo è un passo fondamentale: è l’unico modo per potersi misurare in gemba e capire quale sia veramente l’impatto del miglioramento sui risultati aziendali.

Facciamo un esempio di passaggio da perdita a indicatore, il 1^ più legato ad una azienda con alto contenuto di MDO, il 2^ più legato ad un’azienda di processo:

  1. Perdita di Unbalancing: sapere quanto perdiamo in € ogni anno a causa della dissaturazione dovuta agli sbilanciamenti dei cicli di lavoro in una linea di assemblaggio è un’informazione molto importante per decidere se quella sia o meno la perdita su cui lavorare con priorità. Ma per misurarsi non possiamo parlare di caso, dunque, il KPI di riferimento è il seguente: # di minuti di attesa di ogni stazione, calcolato come Takt time – minuti di lavoro
  2. Perdita per Guasti: sapere quanto perdiamo in € ogni anno a causa dei guasti di un impianto è un’informazione molto importante per decidere se quella sia o meno la perdita su cui lavorare con priorità. Ma per misurarsi non possiamo parlare di caso, dunque, il KPI di riferimento è il seguente: # di ore di fermo macchina dovuta alla rottura del componente.

Identificato l’indicatore dobbiamo chiederci qual è il target per questo progetto? Di quanto vogliamo ridurre questa perdita? di quanto dovrà scendere il KPI identificato? Vogliamo azzerarlo? Vogliamo attaccarlo del 50%?

Vedremo nei prossimi articoli come questo passo sia fondamentale per la fase C=CHECK del PDCA.

3) Definizione del team di lavoro

Per attaccare un problema ricorrente, il peggiore del vostro reparto, vi assicuro che la vostra professionalità non è sufficiente. SERVE lavorare in team. Anche gruppi composti da poche persone, ma serve un approccio interfunzionale e, soprattutto, “multilivello”.

Non esiste gerarchia nell’applicazione degli strumenti lean. Esiste solo una necessità: quella di unire competenze e punti di vista. Chi meglio di un operatore linea è in grado di spiegare quello che vede e che vive tutti i giorni? Chi meglio dell’addetto della qualità è in grado di spiegare il difetto che rileva? Chi meglio dell’Ingegnere di processo sa come dovrebbe funzionare un impianto? Di fronte ad un problema di qualità è importante, quindi, che l’ingegnere lavori con l’addetto di qualità e con l’operatore di produzione: un vero team di lavoro interfunzionale.

Ma attenzione: la scelta delle persone da coinvolgere è importante. Non serve “far numero”, ma unire le competenze che servono. Quindi è importante comprendere di cosa si ha bisogno sulla base del problema che si vuole attaccare, e coinvolgere le persone giuste.  Questo passaggio può essere fatto in una modalità più o meno strutturata a seconda del livello di struttura della propria organizzazione.

Il programma WCM richiede, per esempio, la mappatura delle radar chart e la definizione dei gap del team composto versus un livello di skills/compentenze target. Ma sappiamo quanto, sotto certi aspetti, il WCM possa essere un meccanismo articolato, che non tutti decidono di attivare. Non serve per forza arrivare a mappare le competenze e procedere con l’analisi del gap per definire chi coinvolgere. E’ però necessario chiedersi di cosa si ha bisogno per massimizzare la buona riuscita dell’analisi, e trovare le persone più adatte. 

4) Analisi del fenomeno

 Se siete arrivati al passo 3, significa che avete definito qual è il problema peggiore e con chi attaccarlo. Siete dunque pronti a partire con l’analisi del fenomeno fisico che sta dietro alla perdita che state consuntivando.

Analizzare il fenomeno fisico significa proprio mettere insieme tutta una serie di informazioni utili a capire cosa stia accadendo. Il problema  va osservato come si osserverebbe la scena di un crimine: ogni elemento può essere importante e nulla va trascurato.

Il 5W+1H

A tal scopo, esiste uno strumento molto utile che guida, se ben compreso, proprio nella raccolta di tutte le informazioni necessarie a descrivere il fenomeno in modo esaustivo: il 5W + 1H ( rispetto alla definizione di Wikipedia, si sostituisce o il Why con il Which).

Attenzione però: quando dico “se ben compreso”, faccio riferimento ai numerosi moduli compilati che ho letto, e che non davano nessun valore aggiunto alla comprensione di quanto accadeva in gemba. Fare un 5W+1H tanto per farlo, è solo uno spreco di tempo. Fare un 5w+1H ben fatto, velocizza la fase di analisi delle possibili cause e, se il problema non è complesso, porta già alla definizione della causa radice.

Vi faccio un esempio, per rendere l’idea di quello che voglio dirvi.

Problema: difetto di qualità generato in una certa postazione di lavoro o su uno specifico impianto. Tra le domande del 5W+1H c’è la domanda Where=Dove. Rispondere a questa domanda con il numero della postazione di lavoro o il nome dell’impianto NON dà nessun valore aggiunto all’analisi. Cercare di capire in quale fase del ciclo di lavoro o in quale zona specifica dell’impianto il difetto viene generato, questo ha molto più senso. Non rispondete, dunque, alle 6 domande con la prima risposta che vi viene in mente. Cercate di capire prima che cosa vi chiede lo strumento, e ricercate le informazioni all’interno della vostra organizzazione: tra le persone, tra le postazioni, tra i macchinari!

Ricordatevi che al termine del 5W+1H il team di lavoro deve necessariamente aver imparato qualcosa di nuovo, aver raccolto un’informazione in più rispetto a quelle che aveva prima di iniziarlo. Se così non è, non avete ancora capito come utilizzare uno strumento tanto potente che, a causa della sua apparente semplicità, è molto spesso sottovalutato.

Vorrei ancora fare un riferimento alla domanda How. Molto spesso questa domanda, nel caso di problematiche complesse, si porta dietro l’analisi del sistema, ovvero del funzionamento del processo produttivo all’interno del quale si sta generando la perdita. Attenzione: anche questa è una fase molto molto importante, soprattutto nelle aziende di processo. Ed è soprattutto da questa domanda che dovete trarre benefici in termini di competenza acquisita. Non mi è mai capitato di terminare un’analisi del sistema senza aver imparato qualcosa di nuovo!

5) Ricerca e verifica delle possibili cause

Terminato il 5W+1H e la collegata analisi del sistema, siamo pronti per cercare di capire quali sono le possibili cause che si nascondono dietro al problema identificato.

Come anticipato, in taluni casi (problemi con cause semplici e non interconnesse), una buona analisi del fenomeno permettere  un’ identificazione diretta delle cause. In questo caso puoi saltare direttamente al passo 6. Se invece il problema scelto è complesso, probabilmente è multi-causa e necessita l’applicazione in un altro strumento molto importante: il diagramma di Ishikawa, anche detto metodo delle 4M.

Il metodo delle 4M è molto conosciuto, ma non sempre applicato correttamente. Serve per aiutarci nel portare avanti un’attività di brain stroming canalizzata e strutturata, mirata all’ identificazione di tutte le possibili cause del problema, “osservando” il fenomeno descritto sotto 4 punti di vista differenti, le 4 risorse di uno stabilimento produttivo: le persone, le macchine, i materiali e i processi (o metodi).

Saper fare un buon 4M non è per nulla banale, ma una volta capito si possono apprezzare le potenzialità dello strumento . Se lavorare in team per la ricerca delle cause è importante, è impossibile completare un buon diagramma di Ishikawa da soli: è la parte del PDCA che più necessita dei diversi punti di vista, delle differenti skills ed esperienze, di un lavoro …. interfunzionale.

Verifica delle possibili cause

Il diagramma di Ishikawa non termina con la sua compilazione, come si è soliti fare. La verifica delle possibili cause è una fase necessaria per andare a selezionare solo ciò che ha una vera correlazione con il nostro problema, e non tutto ciò che potrebbe causare perdite al nostro processo.

Ad ogni causa potenziale va, dunque, associata un’azione di verifica, qualcosa che  permetta di stabilire una relazione certa con il problema analizzato.  Ogni verifica deve necessariamente essere un’azione tangibile, qualcosa che porti ad un risultato verificabile. Una misurazione, una prova, una verifica di un’operazione di lavoro.

E’ una selezione necessaria per procedere con azioni mirate ad attaccare solamente le cause correlate. Che senso avrebbe provare a definire azioni contro tutto ciò  che è emerso dal brain storming, che potenzialmente potrebbe essere collegato al problema ma …. potenzialmente! Si sprecherebbero solo energie e tempo. Ricordatevelo sempre!

6) Analisi della causa radice

Questa fase è spesso confusa con quella precedente, ovvero con l’analisi delle 4M. Quando si conclude il diagramma di Ishikawa, ci si trova con un elenco preciso di cause, per le quali è stata verificata, in campo, l’esistenza di una correlazione diretta con il problema. All’interno di questo elenco ci troveremo sicuramente nella situazione in cui alcune di queste sono già cause radice, altre no. Per quelle che non lo sono serve, dunque, effettuare un’ulteriore analisi.

Ma come facciamo a capire quali sono cause radice e quali no? Con un po’ di esperienza è molto semplice capirlo, ma vi riporto di seguito un piccolo trucchetto che potete utilizzare  anche se alle prime armi. Provate a chiedervi perché quell’evento sia occorso. Se riuscite  a dare una o più risposte a quella domanda, significa che non siete ancora di fronte ad una causa radice. In caso contrario non serve procedere oltre: la ricerca è conclusa!

Il metodo, dunque, per ricercare le cause radice è il metodo del 5Whys o dei 5 perché, a valle del quale si è certi di essere arrivati all’identificazione delle origini di tutte le cause del problema. E’ uno strumento apparentemente molto semplice e, così come per il 5W+1H, c’è il rischio di sottovalutarlo e dare le risposte che si hanno già in mente.

Un segreto per capire rapidamente se l’analisi è stata fatta bene è vedere quante ramificazioni esistono. Una ramificazione si crea quando ad un perché corrisponde più di una risposta. Se l’analisi fatta non ha nessuna ramificazione, fatti venire qualche dubbio: o la causa era veramente molto semplice, o stai sbagliando qualcosa.

7) Definizione delle contromisure e pianificazione delle attività

Con il passo 6 abbiamo concluso la fase di analisi. A partire dalla scelta del problema, abbiamo fatto un percorso che ci ha portati dal comprendere meglio il fenomeno fisico che sta dietro alla perdita, alla definizione e selezione  delle cause ad esso correlato, fino ad arrivare all’identificazione delle cause radice.

Adesso è tutto molto semplice: definire cosa serve fare, le aioni da mettere in campo per attaccare ogni singola causa radice identificata.

Unico consiglio in questo caso è, per ciascuna attività, di identificare un responsabile e darsi una scadenza (dead line). Il responsabile deve necessariamente essere all’interno del team di lavoro, ma questo non significa che deve essere lui stesso a portare avanti l’attività. Sono molte le azioni che saranno svolte da persone non presenti nel team di lavoro, ma che possiedono competenze specifiche. Ma la cosa importante è che ci sia sempre qualcuno del team che tiri le fila dell’attività, che la organizzi, che si preoccupi che tutto ciò che serve al suo espletamento sia presente e che, infine, ne verifichi lo svolgimento nel rispetto dei tempi definiti.

Ma questo fa parte della Fase 2 del PDCA, ovvero il D=DO, che sarà oggetto del prossimo articolo.

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Info sull'autore

Samantha Chichi administrator

Sono un ingegnere di 40anni, con piú 15 anni di esperienza professionale maturata all'interno del mondo delle Operations. Supporto le aziende e i suoi professionisti nel cambiare modo di fare Operations, attraverso l'utilizzo di tecniche di lean production: leaning for leading

7 comments so far

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